Cenni Storici
Marzo 1943
La mattina di venerdì 5 marzo 1943, contrariamente al solito, allo stabilimento Fiat di Mirafiori la sirena di prova allarme aereo non viene azionata dalla direzione aziendale. La polizia fascista era venuta infatti a sapere di uno sciopero che avrebbe dovuto scoccare quel giorno proprio al segnale della sirena, ma il pur tempestivo provvedimento si rivelerà ingenuo come tentare di tappare con un dito la falla in una diga: alle 10 in punto, anche senza sentire la sirena, come un sol uomo gli operai dell'officina 19 fermano le macchine, organizzano un corteo interno e in men che non si dica trascinano in sciopero l'intero stabilimento.
Questo episodio è la miccia che darà fuoco alla grande ribellione operaia in tutte le fabbriche del Nord, passato alla storia come gli scioperi del marzo 1943, che segnarono l'inizio della fine per la dittatura fascista di Mussolini e rappresentarono il primo, vero, eroico episodio della gloriosa Resistenza.
Poche ore dopo gli operai di Mirafiori incrociano le braccia anche quelli della Rasetti e della Microtecnica, poi nel corso della giornata seguono la Fiat Grandi Motori, la Westinghouse, le Ferriere Piemontesi, la Fiat Lingotto.
Il lunedì successivo, anziché rientrare, gli scioperi contagiano nuove fabbriche, estendendosi ad Aeronautica, Fiat materiale ferroviario, Fiat ricambi, Fispa, Guinzio e Rossi, Tubi Metallici, Challier. Il martedì entrano in sciopero anche gli operai della Fimet, dell'Ambra, della Ceat, della Michelin, delle Concerie Fiorio, della Fast di Rivoli; e nel corso della settimana seguono via via Capiamianto, Frigt, Concerie Riunite, Fatis di Collegno, Lancia, Savigliano, Riv e altre.
Sono circa 100 mila gli operai torinesi scesi in lotta sfidando la repressione poliziesca fascista, i tribunali militari e i tribunali speciali fascisti. Per le leggi di guerra scioperare equivaleva infatti a tradimento. Nella sola prima settimana di sciopero sono ben 164 gli operai arrestati e processati, di cui tre fucilati subito dopo la sentenza.
Verso la fine di marzo da Torino e dal Piemonte gli scioperi si estendono anche alla cintura industriale di Milano: il 23 scendono in sciopero gli operai della Falck. Una squadraccia fascista tenta di penetrare nella fabbrica ma viene respinta da un fitto lancio di bulloni e materiale vario. Il 24 sciopera la Pirelli. Il 25 incrociano le braccia gli operai della Ercole Marelli e le operaie della Borletti, che con una grande manifestazione sfidano la polizia guidata dal gerarca fascista Malusardi. Gli scioperi si estendono poi a Face Bovisa, dove le operaie malmenano un milite fascista che aveva ferito una loro compagna e inneggiano alla libertà cantando Bandiera Rossa, alla Caproni, Bianchi, Cinemeccanica, Metameccanica, Breda, Brown Boveri, Alfa Romeo, Innocenti e altre.
Da Torino e Milano la protesta si estende ancora, in altre zone del Nord e del Centro, come a Porto Marghera, come in Emilia (Ducati di Bologna) e in Toscana (Galileo e Nuovo Pignone di Firenze).
Si calcola che negli scioperi di marzo siano scesi in lotta circa 200 mila lavoratori, la più grande lotta di massa a livello europeo in tutta la seconda guerra mondiale.
Proponiamo le riflessioni del compagno Pietro Secchia sui grandi scioperi iniziati il 5 Marzo 1943 da “Lotta antifascista e giovani generazioni” La Pietra 1973
Con le manifestazioni in ricordo degli scioperi di Torino e di Milano del marzo 1943 sono iniziate le celebrazioni del trentesimo anniversario della Resistenza.??Quegli scioperi scoppiati non a caso il 5 marzo 1943 segnarono una svolta decisiva nella lotta contro il fascismo che accusò il colpo , furono la scesa in campo della classe operaia in modo possente e decisivo. Poiché, se è vero che durante il ventennio fascista non erano mancati scioperi, fermate di lavoro, agitazioni, si era sempre trattato di movimenti locali e parziali riguardanti alcune fabbriche, ora in questa, ora in quest'altra città. Essi ferivano la «legalità» fascista, ma non riuscirono mai a spezzarla, come la spezzarono gli scioperi del marzo 1943.
Senza sottovalutare il duro, lungo, difficile lavoro di chi li aveva organizzati , non si possono vedere quegli scioperi al di fuori del quadro degli sviluppi della situazione internazionale, delle battaglie sui vari fronti e delle loro ripercussioni in Italia.
Non si può ignorare o dimenticare che la vittoria definitiva di Stalingrado porta la data del 2 febbraio 1943 e che un mese dopo scoppiano gli scioperi di Torino e di Milano. Lo riconobbe perfino Mussolini che, nel suo discorso al Direttorio fascista riunito il 17 aprile, disse: «Quanto è accaduto è sommamente deplorevole. Questo episodio sommamente antipatico [si riferisce agli scioperi di Torino e Milano] che ci ha fatto ripiombare di colpo vent'anni addietro, bisogna inquadrarlo nell'insieme della situazione internazionale e cioè nel fatto che l'avanzata dei russi pareva ormai irresistibile e che quindi il "baffone" (così è chiamato negli ambienti operai Stalin) sarebbe arrivato presto a "liberare" l'Italia». L'«Unità» del 31 gennaio 1943 portava a piena pagina il titolo: « Le grandi vittorie dell'Esercito Rosso avvicinano il momento del crollo hitlero-fascista». E l'«Unità» del 20 febbraio, sempre in prima pagina, titolava: «L'Esercito Rosso lottando per la liberazione dell'URSS lotta per la libertà di tutti i popoli oppressi». L'articolo di fondo incita «tutti a partecipare al Fronte Nazionale d'Azione per muovere all'attacco e organizzare senza indugio la lotta aperta contro il fascismo». Infine l'«Unità " del 28 febbraio (cinque giorni prima dello scoppio degli scioperi di Torino) porta sull'intera pagina il titolo: «Commemoriamo il XXV anniversario dell'Esercito Rosso iniziando in Italia la lotta armata per la pace e la libertà».
I primi mesi del 1943 segnarono per l'Italia l'ora della riscossa. Dopo le vittorie dell'Esercito Rosso sul Fronte Orientale, la distruzione dell'Armir, i successi delle armate anglo-americane in Tunisia, le menzogne della stampa fascista non riuscivano più a celare la realtà agli italiani. La resa dei conti per Mussolini e i suoi complici si avvicinava.
L'inizio dei possenti bombardamenti della Raf su numerose città e centri vitali del nostro paese faceva pesare più direttamente su tutta la popolazione gli orrori della guerra e toccare con mano la dura realtà della disastrosa e infame politica del fascismo. Il bagliore degli incendi illuminava tragicamente le notti delle nostre città bombardate (il fascismo non aveva potuto predisporre neppure una efficace difesa e un adeguato sfollamento delle popolazioni). Ogni giorno aumentava la fuga dalle organizzazioni fasciste: dal 28 ottobre 1942 all'11 marzo 1943 oltre due milioni di italiani (secondo i dati ufficiali) non avevano rinnovato la tessera del partito fascista, gli iscritti alla Gioventù del Littorio erano scesi da nove milioni a quattro milioni, le iscritte ai fasci femminili da oltre un milione a 350 mila, e così via.
Questa fuga in massa di coloro che volenti o nolenti erano stati irreggimentati nelle organizzazioni fasciste indicava chiaramente che gli italiani aprivano gli occhi, non avevano più paura, e che il terrore dell'Ovra non riusciva più a contenere la ribellione.
La caldaia era in ebollizione.Le leggi sulla mobilitazione civile e sulla militarizzazione degli operai che sottoponevano i lavoratori a uno sfruttamento bestiale, il carovita in continuo aumento e i bombardamenti che talvolta colpivano le officine erano tutti elementi i quali, aggravando la situazione, creavano facile terreno a organizzare quelle lotte e quegli scioperi che malgrado l'impegno e gli sforzi non si erano potuti organizzare prima.
Infatti, se fin dal giugno 1941 Palmiro Togliatti con i suoi appelli quotidiani da radio Mosca aveva indicato agli italiani la via da seguire, incitandoli alla ribellione, agli scioperi e alla lotta; se fin dai primi mesi del 1942 lanciava appelli alla lotta armata e alla guerriglia partigiana, è soltanto nel marzo 1943 che scoppiarono i grandi scioperi di Torino e di Milano.
L'epica battaglia di Stalingrado, conclusasi il 2 febbraio alle ore 16 con la completa distruzione della VI Armata tedesca e con la capitolazione di Von Paulus, non fu soltanto, come tutti gli storici riconoscono, la più grande battaglia della Seconda guerra mondiale, ma mutò le sorti stesse del conflitto, fu il segnale decisivo che percorse da un capo all'altro l'Europa.
Il 5 marzo gli operai della FIAT, guidati dai loro comitati segreti, iniziarono lo sciopero. La notizia si diffuse con la velocità del fulmine in tutti gli altri stabilimenti della città e della regione. Nei giorni successivi lo sciopero si allargò ad altre fabbriche. Al sesto giorno Mussolini, nell'impossibilità di piegare la decisa volontà dei lavoratori e degli antifascisti, cercò di far soffocare il movimento con la violenza. Fu come buttare benzina sul fuoco. Dal 16 marzo ai primi di aprile lo sciopero si estese rapidamente a tutti i centri principali del Piemonte, ad Asti e nel Biellese , a Milano e in Lombardia, minacciando di dilagare negli stabilimenti della Liguria, della Venezia Giulia e dell'Emilia.
Le celebrazioni degli scioperi di Torino e di Milano del marzo 1943 segnano dunque a buon motivo l'inizio del trentennale della Resistenza anche perché indicano che quando gli operai scendono in campo uniti, la loro lotta acquista un peso decisivo. Se gli scioperi di Torino e di Milano (organizzati dai comunisti, ma vi parteciparono operai di ogni corrente politica e senza partito, lavoratori anziani e giovani delle nuove generazioni cresciute negli anni del fascismo) non furono decisivi per l'abbattimento immediato del regime, gli assestarono un durissimo colpo; essi furono una di quelle «spallate», come si dice, con le quali si mutano le situazioni. Ebbero i loro limiti, perché quegli scioperi non andarono oltre Torino, Milano e alcune località del Piemonte e della Lombardia: perché forte fu la repressione seguitane (oltre 900 gli arrestati) e perché, come ha scritto Roberto Battaglia:
«Nel resto d'Italia manca ancora la possibilità di organizzare le masse popolari nell'urto decisivo, infinitamente minore è il peso della classe operaia, i gruppi antifascisti agiscono ancora in superficie e non in profondità. Tanto che si può affermare che già agli albori della Resistenza, si riveli in tutta la sua gravità il problema storico del dislivello e dello squilibrio tra le due Italie».
Tuttavia non se ne può sottovalutare l'importanza ed è giusto considerarli come l'inizio della Resistenza, anche se a quegli scioperi seguì una «stasi» e fu chiaro che, per abbattere il fascismo, occorreva allargare l'unità ad altre forze politiche, occorreva che altri si muovessero.
Redazione Aurora Proletaria